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Giovanna Zucca: lo sguardo sul Covid di un’infermiera-filosofa

Giovanna Zucca

Abbiamo intervistato Giovanna Zucca, scrittrice, filosofa e infermiera presso l’ospedale di Treviso. Le abbiamo chiesto qualche impressione su questo (quasi) anno trascorso “in compagnia” del Coronavirus.

L’emergenza Covid-19

Abbiamo festeggiato il passaggio in zona gialla ma a ben vedere non c’è ancora modo di stare tranquilli quando si tratta di Covid-19. Il virus infatti continua a circolare impietoso e si continua a navigare a vista. Sentiamo il racconto di chi vive l’emergenza sanitaria quotidianamente in prima linea e andiamo a caccia, laddove possibile, di qualche pensiero positivo. Lasciamo dunque la parola a Giovanna Zucca!

Chi è Giovanna Zucca

Cara Giovanna, intanto mille grazie per il tempo che ci dedichi. Tu sei un’infermiera che lavora in sala operatoria, è corretto? In che cosa consisteva il tuo lavoro prima che il mondo scoprisse la parola Coronavirus e come è cambiato (se è cambiato) da quell’incredibile, totalmente inaspettato mese di marzo 2020?

Sì sono infermiera di sala operatoria. Lavoro in regime di urgenza ed emergenza. Il mio lavoro è assistere i pazienti dall’arrivo all’uscita dalla sala operatoria. Sono strumentista quindi mi occupo anche di tutto lo strumentario necessario all’intervento e dell’assistenza durante lo svolgimento dell’operazione. Sono cambiate certe abitudini consolidate, come la vestizione e l’uso dei dispositivi di protezione individuale, le riunioni d’equipe, gli incontri alle macchinette del caffè. Ma sopra ogni cosa è cambiata la percezione che il mondo ha di noi come categoria professionale.

Bansky
Un dettaglio della famosa opera di Bansky

Il mondo si è accorto di noi, si è reso conto che dietro a quelle porte chiuse, dietro alle sale operatorie o le postazioni di terapia intensiva o le corsie d’ospedale ci sono dei professionisti che si prendono cura delle persone. È improvvisamente emerso alla coscienza dei più che l’infermiere non è quella figura stucchevole da rotocalco d’anteguerra che ti mette delle pezze sulla fronte. È un professionista che gestisce il piano di nursing e svolge delle attività ad altissima specializzazione.

Giovanna Zucca, oltre a lavorare come infermiera hai una laurea in filosofia e sei anche una scrittrice di successo, quindi ti chiedo una curiosità: avresti mai potuto immaginare di scrivere una storia come quella che stiamo vivendo dallo scorso anno?

Ho pubblicato sei romanzi. Nonostante abbia tentato di addomesticarla con anni di filosofia, la mia resta, un’anima ribelle e sì lo avevo immaginato. Prima dell’ultimo romanzo, “Noi due”, uscito nel 2018 con De Agostini Editore, avevo corteggiato a lungo una suggestione che mi visitava. Una storia su un oscuro mal de vivre che colpiva gli esseri umani portandoli rapidamente alla morte. Un’umanità di alienati, insofferenti, tormentati individui colpiti nello spirito, nell’anima e nel corpo. I personaggi, come nelle narrazioni dei grandi maestri Thomas Mann o Dostoevskij (ai quali non potevo osare avvicinarmi), impegnati nella ricerca di un senso, finivano intrappolati nel loro stesso io ipertrofizzato. L’oscuro male colpiva gli essere umani in tutto il mondo lascando indenni i bambini e i ragazzi. Lo abbandonai perché mi parve eccessivamente inverosimile e pessimistico. Morale: per quanto brillante sia la fantasia di un autore non potrà mai competere con la realtà.

Tante storie da raccontare…

Una cosa che mi ha colpito positivamente durante la prima ondata è stato proprio l’affetto spontaneo e solido della popolazione nei confronti di tutti gli operatori del sistema sanitario: medici, infermieri, chirurghi, operatori sociosanitari, psicologi, tecnici e così via erano diventati agli occhi di tutti degli eroi. Certo è un peccato che ci voglia una pandemia per rendersi conto di quanto sia prezioso il vostro lavoro, ma speriamo di aver imparato almeno questa lezione. Tu ti senti o ti sei sentita un’eroina nel fare il tuo lavoro?

Ricordo una sera, era marzo e quindi si era all’inizio di questa grande avventura. Dopo aver lavorato tutto il pomeriggio abbiamo ordinato le pizze in una pizzeria da asporto. Ho chiamato e ho dettato l’ordine alla signorina, quando ho dato l’indirizzo e il reparto dove consegnare, ho sentito la voce del pizzaiolo che diceva: per loro gratis. Offre la casa. Ecco, episodi così ce ne sono stati molti ma quello è stato il primo. Ci siamo guardati straniti, non era mai accaduto che ci sentissimo così apprezzati dal mondo di fuori. Quando sono arrivate le pizze, sul cartone che le conteneva c’era un post it giallo: grazie per tutto quello che fate. Sono un semplice pizzaiolo ma in queste pizze ci ho messo tutta la mia gratitudine… e tanta mozzarella. Gegè ‘o pizzaiuol.

Anche se lavorando in ospedale non si può dire che tu sia nuova al dolore, alla perdita e alle storie commoventi che vi si possono verificare al suo interno, si può forse dire che il ritmo della prima ondata e ancor più della seconda/terza abbiano aumentato le occasioni di sconforto. Ci sono state però delle belle storie, di amore, forza di volontà e di speranza cui hai potuto assistere, e che magari hanno alleggerito la pressione sul tuo animo?

Certo. I miei colleghi che dalle terapie intensive facevano le videochiamate con i pazienti affinché potessero parlare e vedere i loro familiari. Il nome scritto col pennarello sulle tute bianche con le facce sceme disegnate sulle vocali, il marito che è stato aiutato a salire sul tetto di un edificio col cane della moglie ricoverata che lo guardava dalla finestra. E quella coda che scodinzolava felice ha fatto lacrimare persino i cuori più freddi. E poi… io lavoro, anche, dove nascono i bambini e finché il nido risuonerà di strilli arrabbiati, non c’è corona virus che possa farcela. Quando mi accade di partecipare alla nascita di bambino penso sempre a Platone. Ogni nuova vita che si affaccia al mondo è come il Filosofo che si introduce nella caverna per spezzare le catene e rischiarare il buio.

Uno sguardo al futuro

Facciamo insieme un esercizio di scrittura, anche se un po’ pericoloso: che finale ti sentiresti di scrivere per questa emergenza sanitaria? Ottimistico o pessimistico?

Ottimistico. Io mi sono commossa quando ha visto i primi tir della Pfizer lasciare la casa farmaceutica diretti verso l’Italia. Mi sono commossa immaginando i ricercatori che dopo aver passato notti e giorni in laboratorio alla fine, hanno capito che il RNA Messaggero del loro vaccino gli faceva un mazzo tanto al corona-morbo. Li ho immaginati esultare e darsi il cinque vedendo che la risposta anticorpale sarebbe stata tremenda. Li ho visti uno a uno quei giovani in camice bianco sopra i jeans e con le sneakers colorate: bianchi, neri, cinesi, giapponesi. Una Babele di lingue diverse che comunica con un linguaggio comune. Il linguaggio della scienza. Non posso essere pessimista perché Noi che imparammo alla Scuola dei cinici lo sappiamo che, infine, l’essere umano si ridesterà alla meraviglia, nella meraviglia.

Prima di salutarci, cara Giovanna Zucca, ti chiedo un’ultimissima cosa: se potessi avere un superpotere e mandare una sorta di “messaggio vocale” a tutti i Trevigiani, ma proprio tutti quelli abbastanza grandi per comprendere le tue parole, che cosa diresti loro?

Non fermatevi a osservare un solo pianeta perché se cambierete angolazione, vedrete tutto l’universo.

Giovanna Zucca: lo sguardo sul Covid di un’infermiera-filosofa ultima modifica: 2021-02-09T09:20:24+01:00 da Giorgia Favero

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Doati Marco

interessante intervista

Carmelo Vigna

Una intervista bellissima. Grazie, Giovanna!

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