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Adriano Màdaro, dalla Cina con amore

Madaro

Giornalista, scrittore, sinologo, organizzatore di mostre. Questo ed altro ancora è Adriano Màdaro, uno dei trevigiani più noti sia nella Marca, che molto più lontano, nell’estremo oriente. In questi giorno il cuore storico ed amministrativo di Treviso, palazzo dei Trecento, ospita la sua ennesima originale mostra sulla Cina, dove l’abbiamo incontrato.

Madaro davanti ad un'esposizione sulla Cina

Adriano Màdaro intervistato dalla stampa cinese

É difficile inquadrare Adriano Màdaro, in quale ruolo ti riconosci maggiormente?

Infatti non è facile nemmeno per me attribuirmi un ruolo o una professione, mi rendo conto di essere più cose insieme, intrecciate e inseparabili. Da bambino volevo fare il giornalista, mi piaceva scrivere temi e diari. Era il mestiere giusto per poter viaggiare e vedere nuovi mondi da raccontare poi agli altri. La parte del mondo che mi attraeva di più era l’Asia, ma soprattutto la Cina, forse per la storia di Marco Polo. E così hai già insieme il giornalista (della carta stampata e poi con una parentesi televisiva), il viaggiatore, il sinologo. Il resto è venuto da sé studiando e visitando quelle contrade, appassionandomi a quelle civiltà, frequentando musei e siti archeologici, trovando una congiuntura fortunata (una Fondazione bancaria che me l’ha chiesto e un’Accademia cinese che me l’ha concesso) ho organizzato una serie di mostre sulla Via della Seta e la Civiltà Cinese, che hanno riscosso un grande successo.

Raccontaci della tua sconfinata passione per la Cina, che ti ha fatto diventare là uno degli occidentali più noti e rispettati e qui l’artefice di mostre di importanza mondiale a Ca’dei Carraresi…

Raccontare il mio rapporto con la Cina è ormai una storia lunga e complessa, dopo 210 viaggi in 43 anni. Rappresenta un primato che sta appassionando giornali, televisioni e case editrici cinesi, che mi hanno già dedicato lunghi articoli, interviste, documentari e hanno pubblicato miei libri. Anzi, ne sto scrivendo uno – una sorta di lungo viaggio dentro questa mia passione,  per la famosa Foreign Language Press di Pechino, che intende pubblicarlo entro l’anno e lo tradurrà in 14 lingue. Ma cerco di dirtelo in tre righe, come il sommario di un articolo: la Cina rappresenta per me un amore fuori dalla politica, dai pregiudizi, dagli interessi. Costringe a uno studio continuo e complesso, è da sempre l’altra metà del mondo, contraddittoriamente diversa, forse antagonista. In Cina non si va, ci si ritorna…

 

Parte della riproduzione del rotolo fatto esporre da Madàro

La una delle opere esposte a palazzo dei Trecento

 

Per l’ultima mostra, “La città proibita e 4000 anni di civiltà cinese”, che rimarrà aperta a palazzo dei Trecento fino al 26 maggio, ti sei fatto addirittura costruire appositamente delle vere e proprie opere d’arte, come è nata quest’idea?

La mostra allestita in queste settimane nel palazzo dei Trecento di Treviso è un mio “dono” alla città. Vi sono esposte tre suggestioni particolarmente indicative della civiltà cinese: un modellino in legno di tiglio della Città Proibita in scala 1:400, rigorosamente ricostruita in ogni suo dettaglio dopo due anni di lavoro da una équipe di 12 ebanisti sotto la guida di tre architetti, tutti cinesi. Come è risaputo, la reggia del Celeste Impero è la quintessenza della civiltà cinese, essa è ispirata al canone dell’armonia taoista e racchiude i tesori millenari della cultura cinese. Fanno da cornice 21 tavole, disegnate e dipinte da uno dei maggiori artisti cinesi esperti di Storia e Costume, che illustrano scene di episodi storici dal mitico Imperatore Giallo all’ultima Dinastia dei Qing. Infine in una teca è esposta la riproduzione museale dell’opera pittorica cinese più famosa, il rotolo dipinto su seta “Qing Ming Shang He” del XII secolo, il cui originale è custodito in un caveau della Città Proibita e non è visibile al pubblico per la sua estrema fragilità. Questi tre “argomenti” da soli valgono una puntata a Treviso entro la fine di maggio.

Come giornalista della carta stampata prima e della tv poi, hai vissuto con ruoli di primo piano gli anni di maggior fulgore di questi due media, cosa trovi sia cambiato in meglio ed in peggio nella stampa ed in quella locale in particolare?

Gli anni eroici del giornalismo sono stati tra i Settanta e i Novanta. Poi tutto si è appiattito sulle tecnologie e tutto rapidamente è divenuto precario, a cominciare dallo spirito dei giornalisti in cerca di rendere servigi e non di produrre servizi. La ricerca affannosa del sensazionalismo pur di vendere dieci copie in più ha reso buona parte dei giornalisti “impiegati” editoriali, timorosi di perdere il posto di lavoro se la produzione non soddisfa l’editore. Non è cambiato né in peggio né in meglio, è cambiato e basta, inutile rimpiangere, ma altrettanto inutile biasimare. Anche il giornalismo (o buona parte del giornalismo) è frutto di tempi che rincorrono il “cambiamento”. Forse è giusto così.

Infine qualche considerazione sulla tua città: cosa c’è oltre ai luoghi comuni del passato, vedi “Signore e signori”, all’incredibile sviluppo economico del Nordest e agli anni dei feudi politici pre e post Mani Pulite.

Il famoso film di Pietro Germi è un capolavoro, ma “Signore e Signori” non è Treviso, è genericamente la provincia italiana degli anni Sessanta. Treviso ha suggerito una trama, qualche storia pruriginosa, ma poteva essere qualsiasi altra città di provincia, a cominciare da una delle sette province venete, ma anche Brescia, Modena, Cremona, Lucca, Salerno, Messina… eccetera. Quanto al Nordest io ho sempre negato che esista un “sistema”, sia politico che economico, da far risalire a un’area geografica così eterogenea. Nordest non è solo Veneto, ma anche Friuli-Venezia Giulia e Trentino- Alto Adige. E comunque, restiamo pure nel Veneto, vogliamo mettere insieme Padova e Rovigo?, Vicenza e Belluno?, Verona e Venezia? Non per maggiore o minore importanza, ma semplicemente per “affinità”. Quanto infine ai feudi politici l’unico problema è il famoso “corpo elettorale”, non i partiti o i movimenti. Un corpo elettorale ondivago, disinformato, emotivo, carico di pregiudizi e, diciamolo, tradizionalmente xenofobo.

 

Adriano Màdaro, dalla Cina con amore ultima modifica: 2019-05-07T14:29:09+02:00 da Gigi Fincato

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