Alvaro D’Emilio, una vita da prof tra insegnamento e scrittura – itTreviso

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INTERVISTE PERSONAGGI

Alvaro D’Emilio, una vita da prof tra insegnamento e scrittura

Alvaro D'Emilio

Si è impegnato ad insegnare, a far sorridere, ma soprattutto a farci riflettere. Il suo nome è Alvaro D’Emilio, classe 1953, veronese di nascita, moglianese di residenza, ma mestrino per lavoro. Intendendo come lavoro l’insegnante. Dopo essersi laureato in lettere a Padova, ha insegnato praticamente sempre in scuole superiori della terraferma. Ma lavoro anche come scrittore, dato che ha collaborato con riviste come Comix, scrivendo reportages sulla caduta del muro di Berlino.
Ha realizzato anche alcune guide turistiche, ma soprattutto ha pubblicato negli anni Novanta un paio di libri di grande successo per Baldini e Castoldi, Belli dentro e Uomini Veri. Due romanzi che gli hanno dato molte soddisfazioni. Scrittura accattivante, taglio ironico e ambientazione locale le caratteristiche principali…        

Partiamo dai successi editoriali degli anni Novanta, che ricordi hai?

Io credo che nella vita ciascuno di noi debba capire chi è e cosa vuole. Una delle mie ambizioni era sempre stata quella di scrivere, non di diventare scrittore, che è una cosa diversa. All’epoca, potevo avere 36 – 37 anni, mi era venuta la voglia di raccontare in maniera comica, scanzonata ed ironica una fantastica (per me) vita di provincia a cavallo degli anni ‘80/90. E l’ho fatto, in sei mesi, mesi di felicità piena, quando nient’altro contava per me se non la stesura del mio romanzo, Belli dentro. Certo il libro era bello, divertente, ben scritto, decisamente esilarante e perfino un po’ sentimentale. Ma ho comunque avuto la fortuna che qualcuno (Baldini & Castoldi) decidesse di pubblicarlo.
Era il febbraio 1993, poi sono subito arrivate le vendite, le recensioni (una meravigliosa a firma di Antonio Troiano sul Corriere della sera). Poi le interviste, la TV, gli incontri con il pubblico in giro per l’Italia. La seconda edizione, la terza; quarto nella classifica dei libri più venduti in Italia, e ancora fino alla settima, insomma un piccolo successo editoriale. Perfino le traduzioni all’estero, in particolare quella in Germania.

Demilio Libro
Particolare della copertina del secondo romanzo “Uomini veri”

Poi tutto questo andare in giro, fare presentazioni, leggere recensioni, controllare le classifiche mi è venuto a noia. Infatti il primo settembre dello stesso anno sono partito per Budapest dove, in qualità di Visiting Professor, ho insegnato Lingua e Letteratura italiana nella più prestigiosa Università della capitale ungherese. Durante quei mesi indimenticabili, quando a fronte di poche ore di lezione ricevevo uno stipendio da favola, ho scritto il mio secondo romanzo Uomini veri, che sarebbe stato pubblicato nel 1995. Finito il libro, purtroppo, era già tempo di tornare.

Ispirarti a molti amici mestrini e non, tutti noti, rendendoli praticamente riconoscibili, ti creò problemi o ti aiutò?

No nessun problema, anzi. Per me gli amici, i conoscenti, le vie, la piazza, i bar, i ritrovi storici, le discoteche, sono stati fonte inesauribile di ispirazione. Io e i miei amici eravamo giovani, belli e spensierati come è giusto che sia quando hai trent’anni. Erano tempi diversi, più lievi, meno tormentati e problematici, si respirava un’altra aria, più divertimenti, più goliardia, più semplicità, più vera aggregazione. La vita sembrava più facile e forse in realtà lo era.

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Premio letterario Giuseppe Berto, al centro D’Emilio


Così ho pensato di descriverli quegli anni e ne esce il ritratto di una vita allegra, di una città (Mestre) viva e vivace, di una gioventù un po’ cazzona e caciarona, ma decisamente simpatica. Ogni sera era impossibile ritrovarsi in piazza Ferretto o davanti al bar dell’Orologio senza che poi non saltasse fuori qualcosa da fare o qualche posto in cui andare. Si viveva così: di chiacchierate, di amicizia, di più o meno avventurose sortite.

Successivamente ti eri dedicato anche ad un progetto di un film tratto da Belli dentro…

Per quanto riguarda il film, praticamente, era quasi tutto pronto: due produttori fantastici (veneziani DOC), attori famosi già opzionati, sceneggiatura perfetta (scritta da me in collaborazione con Giorgia Marangoni, produttrice e regista), location individuata. Alla fine sono mancati solo i due milioni di euro necessari per le riprese e la produzione. Ma, come si sa, molti progetti cinematografici restano chiusi per anni nei cassetti, poi un giorno, all’improvviso, succede qualcosa…

Che scuola hai lasciato e quale vedi oggi, anche alla luce dei cambiamenti culturali e di come sono cambiati gli studenti?

Insegnare per me non è mai stato un lavoro. La scuola mi ha regalato così tanta felicità, mi ha arricchito, cambiato, trasformato, migliorato. Tanto è vero che avendo cominciato a 23 anni (già di ruolo, intendo) se non fosse stato per delle stupide leggi di questo stupido stato, avrei continuato fino a 100!! Degli studenti penso tutto il bene possibile, non ci sono cattivi ragazzi, o allievi incapaci, semmai talvolta purtroppo gli incapaci, gli indolenti, i lavativi, i demotivati si trovano tra noi insegnanti. Detto questo, sono tutti gli altri: gli appassionati, quelli (come me) che adorano il proprio lavoro, che ci mettono il cuore, le conoscenze, l’esperienza a salvare questo mostruoso e fantastico baraccone che è la scuola italiana.
Dico solo due cose: insegnare non si impara con i corsi del minchia, o ce l’hai dentro o non ce l’hai, fine. I ragazzi sono sempre e comunque fantastici, sono vivi e creativi, ribelli e pazienti, sornioni e spietati. Imparano, ma soprattutto insegnano continuamente, hanno il grande dono di non sopportare la noia di certe ore o di certe materie e quello, ancora più prezioso, di non dimenticare mai una lezione che li ha colpiti al cuore e al cervello.

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Il professor Alvaro D’Emilio in cattedra (foto Gaia Cimegotto)

Per dirla alla Oscar Wilde, i ragazzi hanno le sole due cose che contano: bellezza e giovinezza, dove capita di venir trascinati dentro. Ultime considerazioni: la tecnologia li ha resi più rapidi ma anche un po’ superficiali, non ci sono scorciatoie per conquistarsi delle conoscenze, una cultura approfondita, anche se internet può fa credere a loro il contrario.
Degli ultimi anni di scuola ricordo con sovrano disprezzo per la stupidità delle incombenze burocratiche, delle riunioni inutili e inconcludenti, del copia e incolla tanto per ottemperare alle vaneggianti circolari ministeriali. Essere un docente significa insegnare (dal latino docere, presente?) non scrivere stupide scartoffie che non leggerà mai nessuno. Io infatti ho sempre cercato di evitarlo.

L’insegnante non è molto apprezzato in Italia, ma a te è dispiaciuto andare in pensione, ami andare controcorrente? 

Andare controcorrente significa rifiutare il pensiero dominante che di questi tempi sta diventando pensiero di regime. La limitazione delle libertà individuali è sempre una cosa molto pericolosa. Ma, tornando alla scuola, ho già detto che ho avuto la grande fortuna di fare un mestiere che adoro e che mi ha sempre reso felice. Ci sono insegnanti buoni e insegnanti meno buoni, per come la vedo io ci dovrebbe essere una selezione durissima, la preparazione, la predisposizione a trasmettere le proprie conoscenze, l’equilibrio, la capacità di migliorarsi ed aggiornarsi sono fondamentali e andrebbero verificate costantemente.
Il giudizio degli studenti è fondamentale perché loro sono i nostri utenti e devono poter esprimere una valutazione sul nostro operato, come noi facciamo con loro. Un bravo insegnante ti può cambiare la vita, uno così era il mio insegnante di greco al liceo per il quale, ancora oggi, nutro un’ammirazione sconfinata.

Oggi siamo più scrittori che lettori, hai ancora qualcosa che vorresti mettere sul foglio o meglio sul computer?

Al momento non sto scrivendo nulla, anche se un’idea per il prossimo romanzo in testa ce l’ho. Certo che in un Paese in cui pochissimi leggono e tutti vorrebbero pubblicare, mettersi a scrivere è davvero un atto di fede e di eroismo. C’è questo spasmodico bisogno di riconoscimenti che certamente non giova alla letteratura. La mia vita, purtroppo o per fortuna, è già abbastanza bella e piena così è questa non è la condizione ideale per lavorare ad un libro. Per sopportare la fatica di affrontare una pagina bianca ci vogliono motivazioni forti. E, in linea di massima, come diceva Mario Puzo: “Tutti gli scrittori vogliono le stesse cose: amore e denaro”. L’amore dei lettori, ovviamente, ma anche, nel mio caso, di qualche bella figliola. Comunque quando sarò pronto me ne accorgerò e il mio vascello di carta riprenderà finalmente il mare indifferente alle bonacce e alle tempeste.

Mestre Torre
Scorcio notturno della torre medievale di Mestre (foto Luca Fincato)

Nei tuoi libri hai raccontato l’entroterra veneziano, come è nei tuoi pensieri questo territorio?

Ho frequentato il Liceo classico Franchetti, ho sempre insegnato a Mestre, i miei studenti, i miei amici, i miei colleghi gravitano intorno a questa realtà. Certo che il mondo dagli anni ’70-80 è cambiato così profondamente da essere quasi irriconoscibile. Non ho intenzione di dilungarmi sulle problematiche attuali, le conosciamo tutti, ma un pensiero nostalgico, a quegli anni spensierati di allegria, amicizia, divertimento, semplicità non può mancare.
Tuttavia devo riconoscere che Mestre comincia a ripiacermi di nuovo. Ci sono tanti nuovi bar, cicchetterie, punti di incontro, ritrovi, ristorantini eccetera. Le persone hanno bisogno di incontrare altre persone, di socializzare, di scambiare idee sogni e progetti magari davanti a un bicchiere di buon vino e non di fermarsi come mammalucchi davanti a vetrine di negozi di scarpe e vestiti. Un po’ più di musica, di spettacoli, di eventi, di arte e pure Mestre sarebbe una splendida città a misura d’uomo.

Un pensiero anche per Mogliano dove abiti, terra di confine fra le due province…

Mogliano è la mia città da sempre e io la amo profondamente perché ci ho sempre vissuto e le mie radici sono radicate lì. E devo dire che sia l’amministrazione precedente che l’attuale hanno attuato delle strategie di recupero ambientale e paesaggistico, che l’hanno resa ancora più bella e vivibile. Per esempio le numerose piste ciclabili. Non mancano pub, ristoranti, ritrovi per giovani e la famosa cicchetteria La Fenice, dove da sempre si respirano e si assaporano il profumo e i sapori della tradizione.
Quanto a Treviso è una splendida città medievale, un piccolo gioiello ma, come è ovvio, il mio cuore propende per Mestre e Venezia perché è lì che incontro e conosco un sacco di gente e perché i mestrini sono più cordiali, socievoli e caciaroni dei trevigiani e quindi più in sintonia con il mio carattere.

Infine cosa fa oggi Alvaro D’Emilio? progetti, idee, sogni….

Per il momento sono impegnato a restaurare casa, ma non escludo nei prossimi anni di provare ad andare ad insegnare italiano in qualche scuola superiore o università straniera della Slovenia o della Croazia. Vorrei chiudere citando una battuta del film Il Decameron di Pierpaolo Pasolini: “Perché fare tanta fatica a realizzare un’opera d’arte quando è così bello soltanto sognarla?”

Alvaro D’Emilio, una vita da prof tra insegnamento e scrittura ultima modifica: 2020-07-13T08:52:34+02:00 da Gigi Fincato

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