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Antonio Calò: una storia di impegno civile

Calò Intervista

È appena uscito un nuovo libro di Antonio Silvio Calò, professore al liceo classico Canova di Treviso. S’intitola Senza distogliere lo sguardo. Una storia di impegno civile (UTET 2022) e raccoglie la visione del mondo della persona che alcuni anni fa ha aperto la porta di casa a sei ragazzi immigrati dal Nord Africa. Una storia di impegno civile – appunto – che merita d’essere approfondita. Al di là degli slogan politici e che merita d’essere ascoltata con il cuore attento e aperto.

Antonio Calò e l’accoglienza diffusa

Antonio Calò è un uomo che si ascolta volentieri. Tutto quello che dice lo dice con passione e convinzione, e nelle sue parole c’è quella concretezza, quella fedeltà ai propri princìpi che non si trova più facilmente in giro. In un mare magnum di persone che predicano bene e razzolano male, che usano parole del tutto incongrue alle proprie azioni, in lui – che piaccia o meno – è finalmente possibile riscontrare della coerenza. La sua vicenda è nota a tutti nel trevigiano, ma con il passare degli anni l’occhio del ciclone sembra essersi spostato. Forse perché i fatti hanno dimostrato che quello dell’accoglienza diffusa può essere un modello vincente. Abbiamo raggiunto il professore via etere e gli abbiamo chiesto il perché.

Buongiorno professore, cominciamo a inoltrarci subito all’interno delle sue pubblicazioni, non solo quest’ultima ma anche Si può fare. L’accoglienza diffusa in Europa (Nuovadimensione, 2021). Che cosa s’intende per accoglienza diffusa?

L’accoglienza diffusa è un modo di accogliere le persone riportando il tutto a dei nuclei molto ristretti. Un’accoglienza più decorosa, sia per chi è accolto ma anche per chi accoglie, rispetto a queste grandi caserme da grandi numeri in cui tutti subiscono grande pressione psicologica e sociale. Per me l’accoglienza diffusa – e il mio modello 6+6×6 – è un graduale inserimento. Sia chiaro che accogliere significa offrire un luogo dove dare effettivamente la possibilità di un inserimento sociale e professionale reale e concreto, affinché la persona si possa realizzare nel nostro contesto. Per questo è un’accoglienza che deve assolutamente contemplare l’accompagnamento. Tanto è vero che i miei sei figli venuti da lontano hanno tutti un lavoro (per quasi tutti già a tempo indeterminato), hanno tutti una casa, hanno una loro auto, hanno preso la patente. Adesso si sono sposati e mi faranno nonno!

Le ragioni dell’accoglienza diffusa

Questo modello è presente in tutta Europa e sebbene sia stata la sua esperienza personale a fare da apripista – il fatto che la sua famiglia di sei persone ha accolto in casa sei migranti – è un compito che non può essere lasciato all’iniziativa – per quanto lodevole – dei privati cittadini. Che cosa si dovrebbe fare allora?

Ci sono alcuni centri che hanno intuito il valore dell’accoglienza diffusa e hanno attuato pratiche di questo genere mettendo all’interno di alcune strutture dei nuclei molto ristretti di persone. E poi il progetto 6+6×6 è diventato un progetto europeo con capofila Padova, EMBRACIN. C’è già stata l’approvazione della Commissione ed è partito l’anno scorso ma il Covid naturalmente lo ha molto rallentato.

Calò Famiglia Intervista
La famiglia Calò in una foto di qualche anno fa

L’idea di fondo è fare in modo che questa accoglienza diffusa e il conseguente graduale inserimento si possa applicare in sei Paesi europei (Cipro, Grecia, Spagna, Italia, Slovenia e Svezia, con osservazione da parte della Germania). Ogni comune di al massimo 5mila abitanti accoglie un nucleo di sei persone, ogni comune di 10mila abitanti due nuclei e così via: se lo moltiplichiamo per i 59 milioni di italiani, e poi per i 500 milioni di europei, io vi garantisco che l’accoglienza diffusa limiterebbe moltissimo il tema dei migranti. Se c’è riuscita la famiglia Calò a ospitare sei persone in casa propria, sarebbe grave che non riuscisse a farlo un Comune.

In che modo questo progetto avrebbe una ricaduta positiva anche sugli “autoctoni”?

L’accoglienza diffusa è anche qualificata perché entrano in gioco diverse figure professionali. Il medico, l’avvocato, l’operatore, l’assistente sociale, l’insegnante, lo psicologo, sono tutte fondamentali per avviare un graduale inserimento. Naturalmente hanno dei costi, ma i soldi ci sono, sono solo impiegati nel modo scorretto, ossia con l’accoglienza di massa. Se investiamo sulle persone che devono aiutare i profughi a inserirsi vuol dire assumere centinaia e centinaia di persone tra insegnanti e operatori. Vuol dire dare lavoro agli psicologi, agli insegnanti e così via… non è cosa da poco considerate le difficoltà economiche del momento.

Calò Quirinale
Nel 2015 il professor Calò viene insignito dal Presidente Mattarella del titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

Purtroppo non c’è ancora il coraggio di capire che un patto tra l’Africa e l’Europa sarebbe utilissimo. Darebbe una scossa tanto alla vecchia Europa quanto alla giovane Africa, offrendo risposte sul tema del clima e del lavoro dei giovani. Inoltre, se non si risolve il tema dei migranti adesso, probabilmente tra dieci anni o anche prima non avremo il flusso migratorio attuale ma avremo davvero una “invasione” e questo diventerebbe un problema enorme anche per i giovani italiani ed europei.

Visione e speranze di Antonio Calò

Che cosa fare allora?

Ognuno può fare qualcosa, in base a quello che è e può realmente fare. Io ho sentito urlare la mia coscienza di credente e di civile, e questa mi ha portato insieme a mia moglie e ai miei figli ad aprire una porta. Eppure di certo non posso pretendere che tutti sentano e provino che quello che ho sentito io. Io non ho la presunzione di cambiare il mondo, ma almeno sono cambiato io e non è una cosa da poco. Ci possono essere tanti modi: dare la disponibilità del proprio tempo ad aiutare queste persone in certe condizioni, offrire quello che si può, a seconda della propria sensibilità e professionalità. Ma anche semplicemente informarsi.

Calò Libri
Le ultime due pubblicazioni del professor Calò

Ci sono mille modi per far capire che non ci siamo voltati dall’altra parte, che non siamo figure omertose, che non facciamo finta di non sentire e di non vedere. Sentirsi testimoni di qualcosa è già una presa d’atto importantissima nella coscienza di una persona. Essere cittadini attivi vuol dire essere partecipi di quello che sta succedendo.

Purtroppo il vento sembra continuare a soffiare in un’altra direzione. Dove ripone le sue speranze?

La speranza sono i miei tre nipoti acquisiti, che busseranno alla porta, aiuteranno la demografia a crescere, saranno persone che avranno voglia di vivere in un certo modo. La speranza passa per la vita, non per la morte. Io spero in voi giovani, che non vi fate problemi a stare in mezzo a persone che hanno un colore diverso. La nostra generazione invece è ancora razzista nel profondo, e il razzismo più bieco, brutto e insensato, quello della pelle. Avete colto il campanello d’allarme del clima e sapete benissimo – come lo sanno i politici, ma non se ne preoccupano e cercano di non farlo sapere – che la meno consistente migrazione in atto è quella nei confronti dell’Europa e che sono ben altre le migrazioni tragiche: quelle intra-Africa, intra-America Latina e intra-Asia.

Milioni di persone che sono costrette a spostarsi a causa di situazioni climatiche degenerative che si vanno a sommare allo sfruttamento. Voi non avete paura di dire – a ragione – che fino a ora non abbiamo fatto niente se non in funzione dei nostri interessi. Per questo io vi dico: mandateci via il più presto possibile. Io farò di tutto perché voi giovani possiate avere speranza ed essere generatori di vita: questo è il mio augurio.

Antonio Calò: una storia di impegno civile ultima modifica: 2022-02-16T08:40:52+01:00 da Giorgia Favero

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Julieta B. Mollo

Che bravo!

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